LE RECENSIONI DI CLAUDIA

ROSA

Recensione di Claudia Marinelli

  • Regia: Catja Colja
  • Soggetto: Catja Colja
  • Sceneggiatura: Catja Colja e Elisa Amoruso
  • Montaggio: Filippo Montemurro
  • Scenografia: Alessandra Mura
  • Fotografia: Michele Paradisi
  • Musica: David Logan
  • Genere: drammatico
  • Cast: Lunetta Savino, Boris Cavazza, Simonetta Solder, Anita Kravos, Maurizio Fanin
  • Produzione: Italia/Slovenia – Minimum Fax MediaCasablancaPianeta ZeroRai Cinema, con il contributo del MiBACT, con il sostegno di Eurimages, Friuli Venezia Giulia Film Commission.
  • Durata: 80 minuti

Rosa (Lunetta Savino) sessant’anni, è una donna di origini pugliesi trapiantata a Trieste dove vive con il marito sloveno Igor (Boris Cavazza). Il loro matrimonio unisce culture e lingue diverse in una terra e una città di confine: il Friuli e Trieste, dove è nata anche la regista Katja Colja. I confini di questo film superano però i limiti geografici per addentrarsi in “terre” diverse: gli universi degli affetti e delle emozioni. Rosa e i personaggi che la circondano vivono sulla linea di frontiera tra Italia e Slovenia, e su quella che separa la vita e la morte, il dolore e la gioia, la castigatezza e la sessualità valicandole senza paura.

Dopo la morte accidentale in mare della figlia minore Maja, Rosa e Igor si sono allontanati: tra loro c’è un muro di silenzi e incomprensioni, che cercano di celare alla figlia maggiore Nadia.  Neanche la gioia per l’annuncio del prossimo matrimonio di Nadia riesce a scalfire l’apatia e la tristezza di Rosa. Rosa e Igor vivono da separati in una casa così ordinata e “asettica” da sembrare non vissuta.

Igor la vuole vendere questa casa triste e silenziosa, perché Rosa in quella casa “vuole stare con i morti non con i vivi”. Rosa lo contrasta con un’aggressiva apatia, che molto rivela della sua indole prima della morte della figlia.

Ma come si può superare un dolore così “innaturale” come quello della perdita di un figlio?

Anche se succube del suo dolore Rosa desidera non soccombere: cerca una logica nella morte, ma anche una ragione e una forza per “lasciar andare” Maja, perché l’amore più profondo è proprio quello che sa accettare la perdita. E così Rosa, cercando un legame con Maja, finisce per passare del tempo nella sua camera da letto, osservando gli oggetti che le erano appartenuti, rovistando  tra le sue cose, cercando di capire, di conoscere meglio e di scoprire una figlia persa troppo presto.  

Ed ecco che la ricerca dà i suoi frutti: in un cassetto Rosa trova dei giocattoli sessuali. La scoperta stupisce la madre, che comincia a porsi delle domande: chi era veramente Maja, e chi frequentava? Perché aveva bisogno di giocattoli sessuali? Per rispondere a queste domande Rosa esce dal suo letargo, indaga sulla vita di sua figlia e finisce per approdare al negozio della parrucchiera Lena, ex amica di Maja che, sul retro della sua bottega, intrattiene e vende giocattoli sessuali a un gruppo di donne ormai non più giovanissime, ognuna con un vissuto diverso. Ed è proprio frequentando quel gruppo di donne tutte nordiche, che la schiva Rosa si apre di nuovo al mondo e riesce a “passare una nuova frontiera” per inoltrarsi in  terre per lei ancora sconosciute.

Riscoprendo il proprio corpo e il piacere che esso può dare, stringendo amicizia con donne solo apparentemente diverse da lei in una complicità tutta al femminile, Rosa trova il legame che cercava con la figlia a lei in parte sconosciuta, la forza di staccarsi da lei e il coraggio di “lasciarla andare”, per continuare a vivere in armonia e gioia insieme ai suoi affetti più cari.

Come asserito dalla regista Katja Colja, presente alla presentazione del film a Roma, la sessualità femminile e l’autoerotismo sono argomenti che il cinema italiano non ha quasi mai contemplato, né illustrato se non in chiave comica o satirica. In questo il film è “nuovo” nel panorama italiano, perché tratta l’argomento con rigoroso rispetto e semplice serenità. La bravissima Lunetta Savino interpreta il ruolo senza falsi pudori, lasciandosi riprendere nuda ma sempre degna di riguardo. Il suo corpo ormai non più giovane appare attraente, se non decisamente bello,  anche grazie alle inquadrature ravvicinate e alla bellissima fotografia di Michele Paradisi. Il merito va alla regista, certo, che ha saputo mettere l’attrice a suo agio,  ma lodevole è l’interpretazione di Lunetta Savino che ha trovato un legame con questo personaggio profondamente piegato dalla vita ma dotato di fine intelligenza, e del necessario acume per aprirsi al “nuovo” ed infine riconoscere e riscoprire nonostante l’età, una sessualità dimenticata e trovare poi, la via a lei più congeniale verso la rinascita.

Il personaggio di supporto Igor sembrerebbe ad un’analisi superficiale colui che vuole dimenticare il dolore, che desidera metter Maja nel passato e sotterrare il suo dolore nel più recondito cassetto della sua mente. Ma Boris non vuole dimenticare il dolore della figlia morta,  ha trovato un modo più “pratico” per gestirlo: sta rimettendo a posto la barca di Maja. Sì vuol vendere la casa e litiga con Rosa, ma poi non infierisce più di tanto, perché nel suo profondo spera che la moglie esca dal suo letargo. Bella la scena con la figlia Nadia che si lamenta col padre del comportamento di Rosa,  che non è rimasta con lei fino alla fine della prova del vestito da sposa (Rosa doveva raggiungere le sue nuove amiche al negozio di Lena). Boris incita la figlia a cercare di capire la mamma che sta passando un momento difficile, perché vuole ancora bene alla moglie e a modo suo cerca di aiutarla. Questo atteggiamento rende plausibile la riconciliazione finale tra i coniugi perché mai si sono mancati reciprocamente di rispetto.  

Ho apprezzato molto il bilinguismo nel film. Il padre parla sloveno con sua figlia.  Rosa, che prima della caduta del comunismo aveva una proficua attività illegale di import/export con la Slovenia (esportava calse in cambio di carne) dice di parlare sloveno, ma si esprime sempre in italiano. La famiglia di Rosa è multiculturale, le due culture hanno vissuto in armonia,  il bilinguismo “è di casa” come succede spesso nelle famiglie dove i genitori hanno madrelingue diverse. Questa  particolarità e questa fortuna, speciale per alcune popolazioni che abitano vicino alle frontiere, di parlare con disinvoltura due lingue, è  raccontata con così tanta naturalezza,  che lo spettatore rimane incuriosito e coinvolto anche quando i dialoghi sono in sloveno.

E questo ci porta a parlare dell’ottima la sceneggiatura, essenziale nei dialoghi, scandita da un ritmo regolare che accompagna il graduale cambiamento del personaggio principale. Buona la coerenza dei personaggi che sia con le loro parole “non dette”, sia con battute piccanti e spiritose, sia ancora con sorrisi o sguardi intensi  aiutano Rosa a rinascere e permettono la finale riconciliazione col marito e con la vita.

Belli e sobri gli ambienti, così “giusti” per i personaggi che vi si muovono, accompagnati da una musica  castigata e quasi frugale.

Una gran bella opera prima per la regista Katia Colja, che speriamo possa produrre in futuro altri piccoli “gioielli” cinematografici come questo, affrontando temi poco battuti ma immensamente interessanti.